Altezza: 916 m. s.l.m.
Abitanti: 323
Chiesa: S. Agostino (Arni), S. Maria Maddalena (Campagrina)
Patrono: S. Agostino (28 agosto)
Eventi e Tradizioni: Festa Case Giannelli presso il rifugio CAI Puliti (luglio), Festa a Passo Sella (1° domenica di luglio), Sagra del Tordello (10-15, 28 agosto), Processione con fiaccolata e fuochi d'artificio (11 agosto), Madonna del Cavatore (12 agosto)
POSIZIONE GEOGRAFICA
La valle di Arni corrisponde all'alto corso della Turrite Secca, dalle sue sorgenti alle falde del monte Sella fino alla località Tre Fiumi e si snoda per oltre quattro chilometri tra morene, colate di roccia calcarea marmi pregiati. La valle è delimitata a est dal monte Fiocca (1.712 m. s.l.m.), a nord dai monti Sella (1.739 m. s.l.m.) e Macina (1.560 m. s.l.m.), a ovest da monti Pelato (1.341 m. s.l.m.), Altissimo (1.589 m. s.l.m.) e Ronchi (1.350 m. s.l.m.), mentre a sud la fronteggiano i monti Freddone (1.487 m. s.l.m.) e Corchia (1.677 m. s.l.m.).
Il paese è costituito da numerose borgate, suddivise tra Arni di Sopra (Giannelli, Menchi, Orioli, S.Agostino, Biacalana, Rocchetta, Marconi Patsellino) e Arni di Sotto (Campagrina, Pianella e Fabbricaccia) e si sviluppa tra gli 805 metri s.l.m. di Campagrina e i 1.013 m. s.l.m. dei Giannelli.
STORIA
L'origine etimologica di Arni va ricercata nella voce pre-romana “arno – alveo del fiume” (C. Battisti-G. Alessio, “Dizionario etimologico italiano”) nel nostro caso con riferimento a “vasto vallone alpino”. Nella zona sono stati rinvenuti resti archeologici riferibili all'età del bronzo in località Rocchetta, mentre altri non ancora interpretati sono emersi dal Castellaccio: numerose sono anche le petrografie, soprattutto di tipo coppelliforme.
La valle fu per secoli un alpeggio diviso tra le antiche comunità di Vagli e della Cappella attraverso il confine della Turrite Secca e lungo la cresta rappresentata dal Castellaccio-Castellina e dalle Palesine (il cosiddetto “Schienale dell'Asino”). La Cappella e Vagli rappresentavano modelli ben conservati di unità demo-territoriali apuane: ogni unità demo-territoriale era costituita da territori ben caratterizzati, che inglobavano interi massicci montuosi, delimitate da corsi d'acqua e creste di monte, o comunque confini sempre ben identificabili. Al loro interno la popolazione viveva in villaggi (“vici”) semistanziali, posizionati in genere tra i 400-700 metri s.l.m., dove trascorrevano i mesi freddi. L'estate si trasferivano negli alpeggi, i “compascui”, le terre comuni ricche di acqua e erbe fresche, dove veniva anche praticata un'agricoltura povera. In realtà la questione dei confini fu motivo di aspre lotte che si protrassero a lungo, fino quasi a l'Unita d'Italia. La valle di Arni, infatti, per la sua posizione, rappresenta un punto d'incontro tra numerose comunità, oltre che un passo obbligato per chi voglia raggiungere Massa dalla Garfagnana. Già dal XIII° secolo erano sorte liti di confine, come testimonia un documento del 1284 che cerca di chiarire i confini tra Terrinca-Levigliani, Sassi, Fornovolasco, Vagli e la Cappella. Situazioni di questo genere furono causate dal venir meno delle basi delle istituzioni comunitaristiche liguri, legate alle terre comuni e all'uso dell'alpeggio, che furono travolte dal sorgere dei piccoli stati regionali, che richiedevano confini chiari e univoci, con tanto di dogane da cui trarre pedaggi.
Il casus belli alla base delle dispute fra Vagli e La Cappella fu all'inizio la valle delle Gobbie, anche se la vera gestione stava nella gestione del Passo del Vestito, attraverso cui transitavano il sale e tutti gli altri generi diretti dalla marina apuana alla Garfagnana ed alle province del Nord. La questione si spostò poi a livello di “comando”, cioè tra il governo fiorentino, che intorno al 1520 aveva pertinenza sul Capitanato di Pietrasanta e quindi sulla comunità della Cappella, che intendeva appropriarsi del corridoio sopra le Gobbie per applicarvi una gabella, e Ludovico Ariosto, governatore della Garfagnana per conto degli Estensi. La controversia scoppiò nel luglio del 1523, quando gli uomini della Cappella requisirono 40 “bestie grosse” (mucche, ma anche pecore e capre) ai vaglini per rappresaglia verso un presunto sconfinamento nel territorio del Capitanato. Il Capitano di Pietrasanta Rucellai colse l'occasione per recarsi in Arni con 200 uomini armati. Dopo varie prese di posizione a livello diplomatico Ariosto riuscì a farsi restituire 27 capi di bestiame, ma la controversia continuò a durare nel tempo. Firenze però, attraverso questa dimostrazione di forza, era riuscita ad affermare il suo diritto di esigere pedaggi presso le Gobbie, come dimostra una lettera del febbraio 1546 spedita dal Granduca Cosimo I al notaio Battista Lamporecchi di Pietrasanta, dove si legge che quest'ultimo aveva proibito il transito in quel tratto a quei commercianti che volevano portare il sale da Massa verso la Garfagnana e Barga cercando di eludere la gabella. Le controversie continuarono anche nella seconda metà del '500, con sempre più ampie requisizioni di bestiame tra vaglini e uomini della Cappella. Non è chiaro come terminarono questi atti di forza. Certamente furono raggiunti degli accordi, dal momento che nel 1575 venne sottoscritto un Lodo e nel settembre 1579 una lettera del Granduca annunciò la fine delle controversie. I rapporti tra le due comunità, e anche tra il Granducato e gli Estensi, andarono incontro a un graduale miglioramento.
Intorno al Seicento famiglie di pastori vaglini decisero di rimanere in paese anche l'inverno e costruirono alcune semplici abitazioni in pietra in località Canini. Fino a quel momento il millenario soggiorno nella valle si limitava, in fasi alterne, al periodo compreso tra aprile e novembre, concentrandosi soprattutto nei mesi estivi. Nel XVIII° secolo iniziarono ad essere sfruttate le risorse metallifere che offriva il sottosuolo della valle di Arni, come rame, ferro e piombo. I prodotti estratti venivano convogliati presso la località Fabbricaccia, dove subivano un primo sgrossamento, e poi venivano trasportati a dorso di mulo alle magone della valle del Vezza. Molto più antico era l'uso di far carbone con il legname delle enormi faggete poste sulla destra orografica della Turrite, come testimonia un documento del 1570 in cui si chiedeva di risistemare “le strade vecchie dell'Alpe di Arni, cioè da Zani fino ale carbonaie”, per poter condurre i carboni fino alle magone di Ruosina e Cansoli.
Intorno al 1820 iniziò la costruzione della chiesa parrocchiale, dedicata a S. Agostino in onore al patrono della chiesa madre di Vagli di Sotto, che fu inaugurata il 24 settembre 1822. Nello stesso periodo cambiarono radicalmente l'economia e il tessuto sociale del paese, in quanto iniziò lo sfruttamento degli agri marmiferi della valle di Arni da parte della società Henraux: in soli 10 anni la popolazione passò da 150 (1820) a circa 300 abitanti (1830), grazie all'insediamento in paese di molti lavoratori delle cave. Nel 1847 venne istituita la festa della Madonna delle Grazie, la cui immagine percorreva in processione le contrade di Arni ogni seconda domenica del mese di luglio. Nel settembre del 1854 una violenta epidemia di colera devastò il paese. Per evitare ulteriori contagi furono prese delle misure di precauzione: vennero posti dei cordoni di 10 uomini ciascuno alla foce di Sella, al Passo della Tambura ed in Campagrina; fu impedito agli abitanti di Arni di recarsi a Vagli per macinare il grano e la scandella e, perché non venisse a mancare loro il necessario, furono distribuiti denaro, vestiario, commestibili e medicinali. Il morbo cessò il suo effetto solo il 7 ottobre dopo aver causato circa 50 decessi, tanti da sollecitare gli abitanti a costruire un secondo cimitero a distanza di cento passi dalla chiesa.
La svolta decisiva per l'economia locale si verificò con la costruzione della strada di collegamento tra la Versilia e la Garfagnana e lo scavo della galleria del Cipollaio: i lavori partirono nel giugno 1875 e si conclusero nel marzo 1879. La strada del Cipollaio rivoluzionò completamente i costumi e la demografia del paese: infatti l'attività della pastorizia venne quasi del tutto abbandonata per il lavoro di estrazione del marmo e, nel volgere di pochi anni, gli abitanti di Arni passarono da 359 unità a oltre 900. Nel bacino di Arni vennero aperte molte cave: nel bacino di Tre Fiumi 10 cave (Col di Capo, Tagliate, Crocicchio, Campanaccio, 3 cave in Piastraccia, Campo, Pennacci e Culaccio); nel bacino delle Gobbie 7 cave (Pelato, Terrone, Pennacci di cima, 2 cave al Piastrone, Fondone e Porracci) e nel bacino del Tombaccio 3 cave (2 cave a Gattini e Pocai). Ai primi del '900 giungevano a lavorare nelle cave centinaia e centinaia di operai dai paesi limitrofi e dal versante massese, oltre il Vestito. Nel solo Casone Henraux, oggi riferibile a Le Gobbie, pernottavano circa 400 cavatori.
Fu in questo clima che si sviluppò un movimento che voleva il distacco dal comune di Vagli di Sotto e l'accorpamento a quello di Stazzema. Il paese, pur raggiungendo quasi mille abitanti, non aveva ancora una struttura scolastica e il 27 ottobre 1912 tutti i capi famiglia, accompagnati dai propri figli, scesero fino a Vagli per far sentire la propria voce contro il Comune e l'autorità scolastica. Sempre nel 1912 la popolazione presentò una petizione alla Prefettura per il distacco giudiziario dalla pretura di Camporgiano, con scopo di ottenere l'aggregazione alla pretura di Pietrasanta (sezione di Seravezza). Tra il 1926 e il 1927 venne conclusa la costruzione della tramvia che dalla località Jacco, poco sopra Ruosina, portava a Tre Fiumi: in un primo momento adibita solo al traffico merci, il servizio venne esteso anche ai viaggiatori. Nel 1928 venne inoltrata la richiesta per il passaggio di Arni dal comune di Vagli di Sotto a quello di Stazzema: la pratica fu relativamente veloce e in appena un anno (1929) la frazione si trovò a far parte del comune versiliese. Tra il 1944 e il 1945 il paese si trovò stretto nella morsa del fronte e della Linea Gotica, pagando un doloroso tributo di morte e distruzione: durante il luglio 1944 la popolazione dovette addirittura abbandonare le proprie case per oltre due settimane e si accampò presso i paesi di Terrinca, Levigliani e Basati. Finita la guerra l'attività estrattiva riprese e la vita ritornò lentamente alla normalità.
Nel 1947 la chiesa di Arni venne elevata a parrocchia e dieci anni dopo, nel 1957, fu sistemata la strada che da Tre Fiumi conduceva in paese, fino a quel momento semplice mulattiera. Intanto il paese si stava man mano spopolando e numerose famiglie si trasferivano verso la pianura versiliese. Il lavoro delle cave, con l'arrivo delle strade al posto delle vie di lizza, dei mezzi meccanici per la movimentazione e di macchinari sempre più moderni ed efficienti per l'escavazione, richiedeva sempre meno manodopera. Pertanto si è assistito ad un graduale spopolamento del paese, che è passato da circa 600 abitanti nei primi anni '60 ai circa 300 di fine secolo. Ancora alla fine degli anni '70 rimanevano in funzione una decina di cave, da cui si estraevano arabescati, statuari e marmi del tipo definito fantastico. Attualmente le cave in funzione si concentrano nell'area del monte Altissimo e del Faniello.
LUOGHI D’INTERESSE
CHIESA S. MARIA MADDALENA
La Chiesa di S. Maria Maddalena in Campagrina assume, per la sua posizione e la sua storia, un ruolo di primo piano. Posta sul guado della Turrite Secca, a pochi metri dal sito della Fabbricaccia, era la porta tra due stati, la Garfagnana e la Versilia fiorentina. Rappresentava l'ultimo avamposto del Popolo di Basati e della Comunità della Cappella e ha rivestito un ruolo non indifferente come istituzione demo-territoriale dell'intera valle. L'attuale struttura è seicentesca mentre il campanile, posto ad alcune decine di metri dalla chiesa, è attribuito dalla tradizione orale al XVI° secolo. Non si hanno notizie del complesso prima di quel periodo, benché non si possa affermare con certezza. Le prime citazioni le troviamo in alcuni saggi del XVIII° secolo, quali quelli del Targioni Tozzetti o del Campana. La cosa strana è che, in entrambe le fonti, la chiesa compaia sotto la curia di Terrinca, mentre si trova territorialmente sotto Basati. È possibile che l'effettiva gestione, per un certo periodo, fosse dipesa dalla Chiesa di Terrinca, che si occupava già dei vicini alpeggi del Retrocorchia. Da notare, inoltre, una certa somiglianza strutturale e architettonica tra la chiesa di S. Rocco di Terrinca, eretta nel XVI° secolo, e quella di S. Maria Maddalena. Oggi la chiesina, così come il campanile, avrebbe bisogno di un restauro. Resta intatto però il fascino e la bellezza di questa struttura arcaica, incastonata come un gioiello nel boschetto ai margini della Turrite, poco distante dalla confluenza con il canale delle Gobbie.
LE MARMITTE DEI GIGANTI
La strada che congiunge Castelnuovo Garfagnana con la Versilia, attraversa le Alpi apuane con la Galleria del Cipollaio, scendendo fino a Seravezza e a Forte dei Marmi. Partendo da Seravezza si segue la strada per Arni fino alla Galleria del Cipollaio. Dopa averla superata, nelle immediate vicinanze della strada possiamo osservare un fenomeno che si presenta, qui, in dimensioni certamente notevoli: le Marmitte dei Giganti, formatesi lungo i fossi del Fatonero e dell’Anguillaia.
Il fosso del Fatonero sbocca nella Turrite Secca l’affluente del Serchio, che da Tre Fiumi, parallelamente alla strada, scende fino a Castelnuovo Garfagnana. Il fosso dell’Anguillaia, sempre sullo stesso versante, scende anch’esso nella Turrite ed è facilmente riconoscibile per la presenza di una cava di marmo, ora dismessa, nella parte più bassa sotto la strada.
Le Marmitte si presentano all’osservatore come cavità abbastanza regolari, di forma grossolanamente cilindrica, con pareti estremamente levigate e con fondo nelle maggioranza a calotta. Sono naturalmente scavate nella viva roccia e le loro dimensioni sono variabilissime vanno da pochi centimetri a 5-6 metri di diametro. È possibile rinvenirle più frequentemente sul letto dei torrenti, su rocce anticamente ricoperte da ghiacciai ed infine, ma raramente, sulle coste del mare. Le marmitte torrentizie sono originate dall’abrasione di materiali detritici, che trascinati dalla turbolenza delle acque, agiscono sulla roccia secondo traiettorie circolari. Più difficile è individuare se l’acqua che ha posto in moto i detriti sia quella del vero e proprio torrente, oppure quella dei ghiacciai, che scorrendo sotto i lastroni o precipitando lungo i crepacci e fessure, trascinando materiali sottratti alle pareti rocciose, innescano dei moti che portano anch’essi alla formazione delle marmitte. La descrizione delle Marmitte dei fossi del Fatonero e dell’Anguillaia non si adatta a quella data all’inizio, infatti le pareti verticali non sono cilindriche, ma presentano una curvature doppia che può essere assimilata ad parabola ed a tratti ad una ellisse. Inoltre il fondo è di difficile descrizione in quanto spesso i detriti impediscono una visione più accurata. Resta da definire, quindi, la loro genesi: secondo il Masini sarebbe da ricercarsi nelle correnti che si svolsero in regime forzato attraverso i cunicoli subglaciali. Le Alpi Apuane furono interessate dal glacialismo würmiano ed anche il monte Sumbra ospitò delle masse glaciali, come documenta la morena di Arni (Stoppani 1872).
LA MADONNA DEL CAVATORE
Il 12 agosto 1979 venne collocata sul Colle del Castellaccio, altura che sovrasta il paese e domina le cave, una statua alta 2,40 metri raffigurante la Madonna del Cavatore, opera dello scultore Giancarlo Deri, in ricordo di tutti coloro che hanno perso la vita sulle cave: dal 1922 al 1978 ben 26 cavatori di Arni hanno perso la vita.
MONUMENTO AI CADUTI DELLA GRANDE GUERRA
Il monumento posto lungo la strada che porta al centro urbano è dedicato ai Caduti della Guerra 1915-1918. L'opera, in marmo bianco probabilmente estratto dalla cava dei Pennacci, situata sul versante Nord del Monte Altissimo, è composta dalla scultura del Cristo che sorregge un fante morente. Sul bordo del gruppo marmoreo vi è un'epigrafe che recita: “A te che desti la vita per la Patria darò luce in eterno”. Al di sotto è posizionata una lapide con i nomi degli abitanti di Arni caduti in guerra. Il monumento è stato inaugurato il 4 novembre 1927 e restaurato nel 2000.
MONUMENTO AI CADUTI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
A pochi metri dal monumento ai caduti della Grande Guerra si trova il monumento ai Caduti della 2° Guerra Mondiale, oppure detto ai Caduti per la Patria. Costituito da un basamento a forma di parallelepipedo e da una struttura a tronco di piramide, sulla cui sommità si trova un'aquila in marmo ad ali spiegate, simbolo di libertà, venne eseguito dagli scultori Dino Nicolai e Sem Ghelardini di Pietrasanta e ufficialmente inaugurato il 4 agosto 1968. Sulla facciata del monumento è stata posta la scritta: “Arni ai Caduti della Guerra 1940-1945” e sotto un elenco con 17 nomi.
CIPPO LINEA GOTICA
Il passaggio della Linea Gotica da Arni è ricordato in un cippo posto nel 1998 in località Ponte Secco d'Arni dall'ANPI Apuo-versiliese e dal Comitato Onoranze ai Martiri di Sant'Anna di Stazzema. Su un muro vicino una lapide indica dove “Nel Dicembre '44 una giovane donna fu uccisa dai repubblichini della Monterosa”.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Giannelli, Giorgio Almanacco Versiliese, Edizioni Versilia Oggi, 2001, vol. 1 (vedi voci “Arni”, “Chiese e oratori”).
Gierut, Lodovico, Lorenzoni, Mario, Marcuccetti, Lorenzo, Mattei, Sauro La valle di marmo, Petrarte Edizioni, 1999.
Gierut Lodovico (a cura di), Monumenti e Lapidi in Versilia in memoria dei Caduti di tutte le guerre, Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi in guerra – Comitato provinciale di Lucca, 2001.
Arni